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Chara design accattivante e un’aria “potteriana” sono il biglietto da visita di questo anime sulle streghette targato Netflix. Di primo acchito sembra essere esattamente così, con la protagonista che cerca di entrare a far parte di questo mondo a lei conosciuto solo tramite delle carte collezionabili e spettacoli della propria beniamina, equipaggiata esclusivamente di un inesauribile entusiasmo. L’incipit sembrerebbe bastare, tuttavia come trama da sviluppare si dimostra ben presto abbastanza debole. È un male? No, perché, pur non regalando una storia trascendentale, come leggero prodotto d’intrattenimento svolge bene il proprio compito, dove l’unica pecca sta nell’essere ‘so shiny’, eccessivamente chiaro e diurno per la fatidica ora delle streghe... o per gli amanti delle ambientazioni create dalla Rowling.

Ad un certo punto, però, le basi per una trama orizzontale più articolata - e anche “impegnata” - vengono gettate, e il tutto viene portato su un altro livello, dove persino quella che sino ad allora pareva essere la nemesi della nostra mattatrice Akko si darà da fare per soddisfare la quest. Ahimè, non si tratta altro che di un fuoco di paglia, per un argomento che si rivela spesso ridondante e che in generale va gradualmente a levare pure quell’atmosfera fatata (o forse sarebbe meglio dire stregata) che a modo suo si percepiva, rendendola invece una pretenziosa forzatura.
Sono di gran lunga preferibili quegli episodi fini a sé stessi, per quanto talvolta frivoli, come la corsa con le scope, la scrittrice di romanzi o gli approfondimenti sui personaggi secondari, dove, nonostante qualche scivolone, l’incanto rimane intatto grazie alla loro semplicità e dinamismo.

In seguito avviene un ulteriore cambio di registro, con l’introduzione della villainess e il plot che viene instradato sui binari di un diretto per il connubio/contrasto fra tecnologia e magia, un’alchimia mai perfettamente riuscita che va leggermente ma sensibilmente a snaturare il contesto (con singola eccezione a confermare la regola, Constanze Amalie von Braunschbank-Albrechtsberger). Si punta sul classico cattivo, insomma, e dal punto di vista del racconto il titolo ne trae sicuramente giovamento, a discapito però ancora una volta della magia, rinunciando a una parte di sé - quella che seguivo più volentieri. Un plot twist lungo e telefonato e uno invece tanto improvviso quanto sorprendete ci accompagnano al finale di questa serie in una modalità molto 2.0, nonostante le dichiarazioni d’amore al tradizionalismo.

Nel complesso, un titolo che si fa apprezzare (e molto) più per quegli elementi che se ne stanno sullo sfondo a definire il background e la personalità di “Little Witch Academia” che per il filone principale di quest’avventura. Merita comunque un giudizio positivo, perché, nonostante non sia riuscita ad esprimere quanto aveva da dare e una caratterizzazione un po’ diversa da quanto era lecito aspettarsi, nel complesso Luna Nova ha regalato anche diversi bei, vivaci, momenti... di quelli che riaffiorano con piacere alla memoria ogni volta che ci si imbatte in qualche immagine (graficamente sì che sono incantevoli senza se e senza ma) di una di loro.