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Attenzione: la recensione contiene spoiler

“Otto no chinpo ga hairanai”, noto anche come "My Husband Won't Fit" è un dorama romantico del 2019 in dieci episodi trasmesso in Giappone da Fuji TV.

Il titolo è piuttosto curioso e nell'approcciare alla serie avevo il timore che potesse deludermi. Di primo acchito, dopo averla vista, non mi aveva convinto ed ero intenzionato a non scrivere una recensione positiva. Tuttavia, dopo una certo periodo di "meditazione", in cui mi sono sforzato di essere il più possibile oggettivo, credo che, in fondo, alla serie vada concessa una possibilità con una doverosa premessa: la serie per come è girata, e registrata, va vista e valutata considerando le consuetudini sociali e il contesto in cui sono ambientate.

In altre parole, è un errore giudicare "My Husband Won't Fit" secondo i parametri del modello sociale occidentale. Sia da alcuni anime, sia, soprattutto, da serie come questa, appare chiaro come noi siamo meno rigidi e formali rispetto alla opprimente società giapponese, vittima di sé stessa e della sua ipocrita (se portata all'eccesso) educazione infarcita anche da una certa dose di "misoginia".

D'altro canto, chi ha avuto la fortuna di conoscere la lingua giapponese è al corrente dei molteplici suffissi onorifici che utilizzano i nipponici per rivolgersi anche ai loro cari e alle persone con cui sono in confidenza, a dimostrazione di come questa società sia asettica e formale.

"My Husband Won't Fit" va interpretata proprio alla luce delle considerazioni sopra esposte, e allora si possono anche giustificare certe situazioni rappresentate nel dorama, in cui si percepisce chiaramente in alcune scene come anche tra familiari si possa arrivare ad annichilire non solo la personalità degli individui e la sicurezza in sé stessi, ma anche la loro sessualità.

Ecco che, allora, la storia di Kumiko Yamamoto (interpretata da una discreta Natsumi Ishibashi) e Kenichi Watanabe (interpretato da Aoi Nakamura) potrebbe acquisire agli occhi dello spettatore occidentale un significato più profondo e accettabile. Soprattutto la storia di Kumiko è di una tristezza senza pari. Timida, introversa e perennemente oppressa dalla frustrazione cagionata da una famiglia (in particolar modo da una madre anaffettiva, da un padre "assente", e due sorelle minori piuttosto petulanti e favorite dai genitori rispetto alla figlia maggiore), appare (ma forse è meglio scrivere "è") come una persona isolata, senza amici e incapace di esprimere non solo le proprie idee, ma anche e soprattutto i propri sentimenti. Aggiungendo che vive lontano dalle rutilanti luci della ribalta di Tokyo, in un contesto rurale, ancor più chiuso e tradizionale, ecco che si consuma il suo dramma che assume, sul tema sessualità, i contorni del grottesco e della sofferenza pura.

Devo ammettere che mi ha infastidito vedere come Kumiko si conceda ad un partner occasionale, ai tempi delle scuole superiori, per il suo primo rapporto sessuale: in un contesto a dir poco alienante, in cui lei ad una festa tipo "matsuri", segue un uomo che, senza tanti preamboli, le chiede un rapporto sessuale, e alla domanda "Come ti chiami?" di lui, lei risponde che il suo nome non è essenziale per quello che dovevano fare, è, a dir poco, disturbante. Trasmette un'immagine della donna come se fosse un oggetto per il soddisfacimento dei bisogni maschili, con l'aggravante della dolorosa e ineluttabile accettazione da parte di chi la subisce. Un contesto di misoginia in cui la donna, come ai tempi dello "shogunato", possa essere solo "o moglie o prostituta", e non possa che accettare tale destino.

Destino di disagio che si realizzerà, in modo più chiaro e completo, quando Kumiko conoscerà Kenichi, e con la documentazione della loro storia d'amore, inclusa la loro intimità, in cui si manifesta la conseguenza delle sofferenze di Kumiko: l'impossibilità ad avere rapporti sessuali completi con lui.

E tale circostanza diventerà l'ossessione di Kumiko e di Kenichi, che dimostreranno di reagire in modo formalmente diverso ma nella sostanza simile a tale "disturbo" che, come si vedrà nei vari episodi, non consente alla coppia di vivere appieno la loro vita di coppia, prima come fidanzati e poi come sposati.

"My Husband Won't Fit", visto con questo criterio interpretativo, non è tanto la documentazione del disturbo fisico (a.k.a. "vaginismo") e delle sue conseguenze sulla vita di coppia, ma l'ipocrisia con cui entrambi affrontano il problema mentendo in primis a sé stessi e poi all'altro. Sotto questo punto di vista Kumiko e Kenichi non sono molto diversi dai loro rispettivi genitori per come vivono e concepiscono la vita di coppia, ossia, quel caparbio modo, tutto "giapponese", di fare qualsiasi cosa per evitare di discutere un argomento potenzialmente sconvolgente e di tensione, ed entrambi si preoccupano così tanto della felicità dell'altro da prendersi la "colpa" del problema che si potrebbe riassumere nel solito e classico "scusami" con tanto di formale ed educato inchino...

Se Kumiko è un tale stereotipo di donna giapponese sottomessa e poco comunicativa, dall'autostima così scarsa, tanto da risultare irritante, Kenichi, con il suo mettere sempre Kumiko al primo posto per farla sentire meglio con il suo corpo che lo "esclude", è altrettanto odioso quando si scopre che soddisfa i suoi bisogni sessuali in un bordello. E vedere Kumiko rassegnata e silenziosa alle scorribande sessuali del marito dà il senso della serie, al pari della circostanza in cui lei scopre, per caso, che il suo problema riguarda solo suo marito.

Altrettanto grottesca è la soluzione che escogitano entrambi per dichiararsi felici: scegliendo (?) di non volere figli e dichiararsi, comunque, contenti lo stesso e poter continuare a vivere insieme mentendosi reciprocamente.

"My Husband Won't Fit" lo posso apprezzare solo se il messaggio che vuole trasmettere sia quello di esortare chi vivesse una situazione simile ad affrontare il problema dell'intesa di coppia in modo comprensivo e dialogatorio nei confronti dell'altro partner. Di sicuro l'amore non può essere quello rappresentato dalla serie e credo che neppure i Giapponesi possano rassegnarsi ad una concezione della vita di coppia simile, in cui le apparenze possano contare più della vera felicità.