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“L'amore di una madre è qualcosa che nessuno può spiegare, è fatto di profonda devozione, di sacrificio e di dolore, è infinito, altruistico e duraturo, nulla può distruggerlo o portar via.”

Maquia è una ragazza quindicenne membro della “stirpe delle separazioni”, un gruppo di esseri speciali che vive nella terra di Iorph, identici agli umani nelle fattezze ma che smettono di crescere esteriormente verso i quindici anni, e che, in virtù di questa prodigiosa particolarità, vivono isolati dal resto del mondo e rifuggono contatti e legami con i comuni mortali, consapevoli che questi sarebbero destinati inevitabilmente a durare poco, lasciando dietro di sé sentimenti di tristezza e sconforto. Purtroppo, però, Maquia questi problemi li ha già, in quanto ha perso i genitori per motivi non precisati, e lamenta quindi di soffrire già adesso la solitudine, nonostante viva in una comunità ristretta che la accetta e la tratta con rispetto e dolcezza, in cui spiccano Leilia e Krim, entrambi suoi grandi amici. Compito secolare degli abitanti di Iorph è tessere lo Hibiol, un tessuto pregiato prodotto soltanto da loro nel quale riversano il passato e i ricordi del mondo che li circonda.
Questa pacifica routine viene interrotta dall'attacco dell’esercito del Regno di Mezarte, desideroso di entrare in possesso delle straordinarie capacità degli abitanti di Iorph. Nel trambusto che segue quest’invasione, Maquia finisce per separarsi dal resto del suo clan, ma riesce fortunatamente a sopravvivere, ritrovandosi sola e sperduta in una foresta. Il destino la mette, però, sulla strada dell’incontro che le cambierà la vita: in questa foresta, Maquia trova un bambino appena nato, difeso strenuamente dalla madre morta in seguito all’attacco di un gruppo di briganti che ha decimato il gruppo con cui viaggiava; colpita dal discorso sulla solitudine che ha appena ricevuto, prova pena per quella creatura e decide di adottarla per salvarla da morte certa o, nella migliore delle ipotesi, da un destino di solitudine che lei ben conosce. È qui che comincia davvero la storia del film, incentrato sulla crescita del figlio adottivo di Maquia, Ariel, e sul loro rapporto in continua evoluzione tra alti e bassi tipici della crescita di un figlio, e amplificati, in questo caso, dal contesto in cui questa avviene.

A differenza di ciò che si potrebbe erroneamente pensare, “Maquia” è un film complesso, che tratta tanti temi e, a malincuore, fatica ad approfondirli tutti nel migliore dei modi. Centrale, ovviamente, è il tema della maternità, strettamente connesso a quello della solitudine. Pur vivendo in una comunità di persone che le vuole bene, Maquia sente dentro di sé un profondo senso di solitudine, perché sostanzialmente orfana di entrambi i genitori. Questo, almeno, è quello che racconta il suo sguardo quando vede i suoi due più cari amici, Leila e Krim, riabbracciare i loro familiari dopo una lunga giornata di lavoro. Racine, la Somma Anziana, è sì una madre per Maquia, ma lo è per lei così come per gli altri membri della comunità, e non può darle l’amore di cui ha bisogno una figlia. Ecco perché, quando trova quel neonato solo e abbandonato in mezzo alla foresta, non può far altro che prenderlo con sé e provare ad accudirlo come farebbe la sua madre naturale, le cui dita morenti non vogliono lasciar andare a nessun costo. La scelta di Maquia è egoista e altruista allo stesso tempo. Da un lato, sente il bisogno di porre rimedio alla sua sconfinata solitudine e di colmare quel vuoto che sente nel suo animo; dall’altro, capisce di non poter abbandonare quel neonato al proprio infausto destino. Inizia così il film “Maquia - Decoriamo la mattina dell’addio con i fiori promessi”, che è, soprattutto, una dolcissima storia di maternità. Ovviamente, Maquia non sa nulla di cosa significhi essere madre, perché lei probabilmente la sua non l’ha mai conosciuta, e impara ad esserlo un po’ a spese proprie, un po’ imitando la gentile Mido, che ospita la piccola famigliola nella sua casa di campagna. Maquia dà ad Ariel tutto l’amore che può, contravvenendo al monito della Somma Anziana, proferito proprio ad inizio film: ‘Se amassi qualcuno, ti ritroveresti davvero da sola.’ È dalla solitudine che ha provato da quando è al mondo che nasce l’amore di Maquia e il suo desiderio che Ariel non debba patire ciò che lei ha sofferto. Nonostante gli appena quindi anni di età, Maquia si reiventa madre e accudisce quello che sente essere suo figlio a tutti gli effetti, con tutto l’amore possibile. E questo ci fa capire due cose molto importanti: madri non lo si nasce, ma si diventa e, ancor più importante, non sono i legami di sangue a fare di una donna una madre, bensì l’amore. Come è ovvio che sia, il rapporto tra i due non è sempre rose e fiori, specialmente quando Ariel cresce, entra nel difficile periodo della pubertà e inizia a sembrare più adulto di sua madre. Quest’ultimo, in particolar modo, sembra rappresentare un problema per il ragazzo, che, tra l’altro, scoprirà ben presto di non essere il figlio biologico di Maquia e, quindi, inizierà anche a trattarla aspramente. Come si dice a Napoli, ‘e figlie so piezz’ ‘e core, ma i figli sanno anche essere terribilmente ingrati, ma questo non scalfirà in alcun modo l’amore di una madre, che può resistere ad ogni avversità, anche lo scorrere inesorabile del tempo.

Se mi soffermassi soltanto su questo punto, il film sarebbe da dieci. Mari Okada tratta il tema della maternità con una dolcezza e una gentilezza che raramente ho sperimentato, riuscendo a commuovere profondamente lo spettatore, seppur, in alcuni frangenti, sembra quasi che voglia strapparti di forza le lacrime dagli occhi, che, volente o nolente, durante la visione del film, sono destinate a scendere. Oltre a questo, però, bisogna anche considerare, come sopra accennato, che la Okada mette tanta carne a cuocere, lasciando inevitabilmente alcune parti poco cotte. Nonostante le sue due ore piene e intense, il film non risulta in alcun modo pesante, anzi, mi ha dato quasi l’impressione che dovesse durare qualche minuto in più, per meglio approfondire alcune questioni liminari e impreziosire un world building abbastanza scarno. La storia di Maquia e Ariel è inserita in un contesto bellico di cui sappiamo molto poco, e quale che sia stata la fine di tutti gli altri Iorph e della loro terra natia viene perlopiù lasciata all’immaginazione dello spettatore. Dello Hibiol, che tanto sembra assomigliare al destino inafferrabile del genere umano e che gli abitanti di Iorph tessono quotidianamente, sappiamo poco o nulla. La storia stessa dei due protagonisti procede per time skip, a volte, troppo frettolosi. Insomma, “Maquia” è un film imperfetto, che riesce a colpire per la trama affascinante, la delicatezza di Mari Okada e un comparto tecnico e musicale di grande livello. Le animazioni sono stupende e riescono a far risaltare la bellezza dei fondali delle varie ambientazioni, che spaziano dalla campagna, al mare, fino ad arrivare alla appariscente terra di Iorph. Altrettanto eccelso il comparto musicale, mai invasivo e sempre perfetto nella scelta e nell’uso delle musiche. Per quanto mi riguarda, la scena d’inizio film di Maquia che cavalca il renato è di una bellezza visiva e uditiva disarmante, emblematica dell’intera pellicola e produzione.

Nonostante i suoi difetti, “Maquia - Decoriamo la mattina dell’addio con i fiori promessi” è, a mio modestissimo parere, un film che va visto assolutamente.