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Di Mari Okada posso scrivere di aver visto qualche opera, soprattutto in veste di sceneggiatrice di produzioni di successo (vedi "Toradora!", "Anohana", "Her Blue Sky", "Araburu", ecc.). Con "Sayonara no Asa ni Yakusoku no Hana o Kazarō", ovvero "Maquia - When the Promised Flower Blooms", ovvero "Maquia - Adorniamo il mattino dell’addio coi fiori promessi", la talentuosa artista si cimenta anche nella regia e sforna uno dei film di successo della stagione 2018 e della sua ormai lunga carriera.

In questa occasione, la Okada va "sul sicuro" e costruisce una storia ad ambientazione fantasy in un passato non meglio definito simil-medievale, i cui cardini sono rappresentati dall'amore materno e la sua inossidabilità al trascorrere del tempo. Sentimenti agapici, frutto di amore disinteressato e senza limiti, tipico proprio dell'amore di una madre nei confronti di un figlio/a.

Facendo leva su un sentimento dalla nobiltà "assoluta" e incontrovertibile, Mari Okada non poteva non concepire una storia molto toccante secondo lo stile che la contraddistingue, che mixa in modo anche un po' "furbo" elementi fantasy in un mondo del passato indefinito in cui si pongono le basi per trattare i sentimenti in modo piuttosto puro, assoluto, candido, col "solito" (a mio avviso) limite del troppo fanciullesco, ingenuo e melodrammatico.
Stile che mi è capitato di apprezzare anche in negativo già in "Toradora!" e, soprattutto, in "Anohana" (con cui "Maquia" condivide anche il richiamo nel titolo ai fiori...).

Probabile che lo stile di Okada non rientri completamente nelle mie corde, ma ciò non significa che ritenga "Maquia" un film di basso livello, tutt'altro.

Senza 'spoilerare' eccessivamente, la protagonista Maquia appartiene a un popolo di cui non si sa nulla, se non che sono individui che possono vivere per centinaia o migliaia di anni. Per come sono disegnati, mi sono sembrati vagamente ariani: capelli e pelle chiarissimi, abbigliamento etereo (vesti/tuniche bianchi simil-sacerdoti/esse dell'antichità), sembianze simil-adolescenti efebici/androgini (sebbene anche di un'età per noi inconcepibile secondo i normali standard), vita tranquillissima e dedicata alla creazione di tessuti speciali di cui sono abili e apprezzati tessitori.
Per le loro caratteristiche e la loro ritrosia a non immischiarsi con gli umani normali, è evidente che sono temuti da questi ultimi, e alcuni di loro li vorrebbero soggiogare per trarne vantaggio.

Fatta la doverosa premessa, incluso l'aspetto che gli Iorph si impongono di non amare mai un comune mortale, proprio perché loro sopravvivrebbero e soffrirebbero nel vederli morire comunque prima di loro, rimanendo soli (idea non originalissima, vedi "Highlander"...), si spiega l'incipit dove, dopo una breve sequenza "bucolico-onirica" sulla normale vita degli Iorph, si giunge all'attacco a scopo "ratto delle Sabine" (alias la principessa degli Iorph, Leilia) da parte degli umani, affinché il principe dell'esercito attaccante possa sposare e avere un erede proprio da Leilia.

Da questa premessa M. Okada sviluppa una trama molto dolce, sentimentale, un po' anche fiabesca, in cui sembra voler trasmette il valore dell'amore disinteressato, la forza di un legame che può trascendere anche il tempo e, soprattutto, con l'escamotage della quasi immortalità degli Iorph, che si tratta di un sentimento che vale la pena provare in ogni caso e fino in fondo indipendentemente dai problemi, dai limiti contingenti e da qualsiasi ostacolo o criticità che possa limitarne o ridurne la portata.

In fondo, il legame tra Maquia e Ariel, piccolo orfano di cui la protagonista si prenderà amorevolmente cura come una madre, fino a quando lui deciderà di farsi, in apparenza anche in modo poco riconoscente, la sua vita, sembra proprio voler dimostrare quanto sia importante e prezioso amare e donarsi senza se e senza ma, se si vuole il bene della persona amata.

Se la storia tra Maquia e Ariel racconta la crescita di Ariel al fianco della sua giovanissima madre adottiva e di come il legame tra i due muta, si trasforma, vacilla, ma non finisce (e lo struggente finale del film lo testimonia...), resta tuttavia mal sviluppata la maternità "coercizzata" di Leilia.
Ed è a mio avviso una grossa pecca della sceneggiatura: da un lato l'accettazione di prendersi cura di un orfano a qualunque costo e sacrificio e dall'altro una specie di maternità negata per la particolare natura di Iorph di Leilia, cui non sarà mai permesso di avere contatti con la propria figlia. Un tema altrettanto degno di approfondimento che viene liquidato verso la fine del film troppo frettolosamente, lasciando la sensazione che nel caso di Leilia valga ancora la regola del non provare amore per gli umani (o semi-umani come la figlia) proprio per la quasi immortalità degli Iorph.

A mio avviso, "Wolf Children" di Mamoru Hosoda era riuscito a rendere meglio e in modo ancora più forte senza particolari escamotage (quali l'immortalità) il valore dell'amore materno... ma è questione di gusti e di punti di vista.

Dal punto di vista tecnico e grafico, "Maquia" è un'opera di eccellente primordine: colori saturi, dettagli incredibili, un contrasto delle immagini che è un piacere per gli occhi, l'utilizzo della computer grafica sapiente e ben amalgamato con l'animazione tradizionale. Lo studio P.A. Works ha assistito al meglio M. Okada, sfornando ancora un prodotto di qualità sul versante dell'animazione, del character design e del worldbuilding.

"Maquia", pertanto, resta in ogni caso uno di quei film che gli appassionati di anime non dovrebbero assolutamente perdere.