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Sono stati bravissimi. Non era certamente facile superare in bruttezza la famosa rivisitazione hollywoodiana di Street Fighter, eppure gli autori di Tekken, The Movie sono riusciti a fargli raggiungere questo traguardo. Sono riusciti a demolire la serie di picchiaduro più amata della mia generazione e al contempo ad accusare una perdita di circa 33 milioni di dollari dei 35 spesi per la produzione: non sono dei geni? Se penso che l'acquisizione dei diritti e la preparazione della sceneggiatura risalgono nientemeno che al 2002, mi chiedo come mai nessun essere sano di mente, in questi otto anni di tempo, si sia reso conto dell'inevitabile flop che quest'orrore avrebbe inevitabilmente costituito all'indomani della sua pubblicazione.
Questa pellicola rappresenta senza alcun dubbio il peggior adattamento cinematografico di un picchiaduro mai fatto, e questo non solo perché Dwight H. Little e soci sono stati capaci di stravolgere l'intera saga Namco in un'ora e mezza, ma anche di realizzare una schifezza di film, con uno schifo di copione, uno schifo di trama, uno schifoso cast di attori e uno schifo di rappresentazione.
Ma proviamo a fornire una panoramica della portata di ca***te contenute in questo obbrobrio, giusto per sollevare un minimo di curiosità in qualsiasi sventurato lettore di questo mio commento. Logicamente preferirò essere schietto e ironico nella descrizione di certi personaggi, ma rammento che nulla di ciò che scriverò sarà inventato - purtroppo.

Partiamo dall'ambientazione: si inizia subito con il botto (in senso negativo): ci troviamo infatti negli Stati Uniti, nel quartiere di Anvil della città di Tekken City, in un mondo futuristico post-bellico, i cui territori non sono gestiti da governi, ma da otto corporazioni, tra le quali vi è la Tekken, capeggiata da Heihachi Mishima - l'ambientazione è già 'americanizzata' alla grande e la scarsa fantasia degli autori dà luce a luoghi e organizzazioni mai accennate nella serie, ma andiamo avanti. Il nostro vecchio è proprietario della suddetta corporazione - bye bye, Mishima Zaibatsu - ed è forse l'unico personaggio che, almeno inizialmente, sembrerà mantenere la corrispettiva identità di antagonista. Purtroppo, faticheremo sempre più a riconoscerlo con il prosieguo della storia, quando si farà fregare da quello che sarà il nuovo antagonista - lo introdurremo dopo - ed emergerà il suo lato da 'nonno paterno'. Egli è anche l'organizzatore del torneo del Pugno di Ferro, che vede sfidarsi in duello i più forti combattenti del mondo. A parteciparvi sarà, giustamente, il nostro protagonista, Jin Kazama. Cosa dire di lui... Beh, a parte il fatto che, quanto a somiglianza, il tizio di una nota pubblicità del tonno avrebbe meglio figurato nei suoi panni, sia l'improvvisato ruolo da 'ragazzotto di strada' sia l'interpretazione di Jon Foo (chi?) non fanno altro che sminuire in modo vertiginoso il carisma del personaggio-icona della saga, forse peggio di quanto si fosse fatto con l'abbinamento Chatwin-Goku in Dragon Ball Evolution, che soltanto un anno prima avevamo potuto 'ammirare' - insomma, manco il tempo di rialzarsi da una batosta, che ne arriva una nuova, a mio avviso peggiore.

Comunque, spinto dalla voglia di vendicare la morte di sua madre Jun, causata dai Jack - no, levatevi dalla testa quelle ferraglie dei vecchi Jack, qui rimpiazzati da ninja robotizzati che spiccicano sì e no quattro parole in giapponese - il nostro Kazama dei poveri decide di iscriversi alla nuova edizione del torneo, e lo fa grazie all'aiuto di quello che scopriremo, con gran sgomento, essere Steve Fox. Sì, 'con sgomento', perché il pugile biondo e muscoloso che tutti conosciamo sarà qui ridotto al ruolo di supervisore calvo di Jin, che, udite udite, è molto più giovane di lui! Senza contare il fatto che anche Nina Williams sia più giovane di lui, pur essendo sua madre - ma questo dato non è stato per niente calcolato nel film, come tanti altri, quindi, andiamo oltre. Visto che ho tirato in ballo Nina (direttamente da Baywatch), chiamo all'appello anche sua sorella, Anna, e vi annuncio che entrambe, oltre ad andare incredibilmente d'accordo come mai prima d'ora, svolgono una funzione del tutto nuova e pittoresca: quella di accompagnatrici nonché diversivi erotici di Kazuya Mishima. La caratterizzazione di quest'ultimo è stata a mio parere quella più travisata: un incrocio tra Freddie Mercury e Antonio Banderas che fa da braccio destro a suo padre Heihachi per poi impossessarsi del suo posto al vertice come il più convenzionale dei 'cattivoni', e che combatte armato di asce - proprio come il famoso gnomo di Mistero - non si può proprio vedere.

I restanti combattenti non sono da meno: Marshall Law somiglia a un massaggiatore portoricano che di kung-fu non conosce nemmeno la pronuncia, ed è inoltre il primo a prenderle da Jin in uno scontro che vale l'accesso al torneo. A proposito, vorrei riportare lo scambio di battute che li introduce alle mazzate, giusto per evidenziare il grado di ridicolaggine che permea l'intero copione - su cui ritornerò - che è la seguente:

Jin, cinque minuti dopo la morte della madre, già fresco e pimpante, desideroso di vendetta: «Io andrò all'Iron Fist, e tu sei il mio unico ostacolo».
Law, in risposta: «Impara ad avere rispetto!» - e gli sputa sul piede.

Ovviamente il testo isolato non provoca lo stesso effetto comico, ma vi assicuro che a vedere certe scene e udire certe parole sarà facile sghignazzare.
Ritornando ai nostri lottatori, vedremo all'opera anche Brian, Raven, Eddy, Yoshimitsu, Dragunov e Miguel, che tuttavia faranno da riempitivi - e meno male!
Su di loro non c'è quindi granché da dire, se non riguardo all'aspetto fisico e allo stile di combattimento, mantenuti fedeli solamente in minima parte: a Brian viene fatto praticare inspiegabilmente il Kenpou, anche se le movenze richiamano più o meno quelle del cyborg; Raven è fisicamente identico, anche perché il personaggio è già molto stilizzato di suo, ma insomma, almeno non si sono dimenticati della cicatrice. Il suo ninjutsu pare comunque arrugginito; Eddie Gordo è probabilmente l'unica controparte 'riuscita' da ambo i lati, anche se qui sembra più stupido - ma d'altronde è un'impressione che ci si fa guardandoli tutti; Yoshimitsu indossa un'armatura abbastanza figa e va bene così, ma durante un combattimento getta via la sua fidata katana per adoperare un bastone, per poi ancora districarsi nel corpo a corpo - questo non va bene; dei restanti due, praticamente impalpabili durante la visione, Dragunov pare aver preso in prestito il parco mosse di un certo Lee Chaolan (altro lottatore della saga), mentre Miguel non condivide un tubo con il vero personaggio, ma in compenso ricorda palesemente un wrestler, precisamente Randy Orton, chissà perché. A mancare alla lista è però lei, Christie Monteiro, che completa il cerchio delle fig... delle figure femminili del film insieme alla 'povera fessa' della situazione, cioè la ragazza di Jin, abbandonata là fuori, ad angosciarsi per le condizioni del suo amato che, nel frattempo la riempie di corna senza indugiare neanche un istante.
L'affiatamento tra i due inizia con qualche battutina molto sobria come: «Guardarmi il culo è il modo per farti prendere a calci il tuo», ma continua fino al limonamento, con tanto di salto in discoteca.

A peggiorare la situazione più di ogni pecca di adattamento è lo stampo prettamente tamarro di questa trashata, che si avverte nella rozza banalità dei dialoghi come nella falsa appariscenza delle riprese, pompate dai soliti filtri grafici e inquadrature voltastomaco. La mole di stereotipi racchiusi in questo film è oltretutto talmente elevata che anche un bambino potrebbe azzardare e azzeccare in sequenza ogni minimo dettaglio della trama. Perfino i flashback, risibili, scontati e soprattutto ripetitivi, potranno essere localizzati senza problemi nei momenti che prevederemo.
Spesso si tende a consigliare film del genere ai fan del determinato brand preso di mira, ma stavolta non mi sbilancio: al massimo vi posso proporre di 'gustarlo' insieme a un amico che vi porga una spalla su cui piangere/ridere, come ho fatto io, patito del videogioco da quando avevo dieci anni, adesso testimone della sua - fortunatamente malriuscita - distruzione.