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Se ci sono dei prodotti che spiegano bene perché il cartone animato porta qualcosa di nuovo e non replicabile nelle arti, quest’anime è sicuramente uno dei primi che mi vengono in mente, per tante ragioni. La più evidente è, naturalmente, nel contenuto.

“Serial Experiments Lain” è spesso qualificato come un seinen (cioè progettato per un pubblico maschile di età adulta), di una fantascienza surreale che in precedenza esisteva pienamente quasi solo nella letteratura di scrittori come J.G Ballard e Philip K. Dick; quest’ultimo viene citato dall’autore dell’anime con il suo romanzo “Le tre stimmate di Palmer Eldritch”, un’influenza evidente ma ricombinata alla perfezione.

La protagonista è l’omonima Lain, una timida ragazzina di quattrodici anni che ha rapporti molto goffi con le compagne di classe e con la sua stessa quotidianità, che passa buona parte del tempo a recludersi nel Wired: una sorta di surrogato futuristico di Internet che non si focalizza sulla ricerca di siti ma sull’accesso a una realtà virtuale che si scoprirà presto essere più di questo.

La scoperta del Wired porterà Lain a scoprire letteralmente nuovi lati di sé stessa, come un alter ego con un carattere diverso, più disinibito. Ma la scoperta più determinante è l’idea che il mondo fisico e il Wired non siano due entità totalmente distinte e separate e che la tecnologia sia in realtà il risultato di un grande progetto di proiettare nella realtà l’inconscio collettivo, per cui Lain non si limiterà a riflettere sull’ essenza del mondo ma sulla sua stessa natura e il suo scopo nel mondo. È tutto giocato su una compenetrazione e un respingimento tra fisicità e fantasmagoria, tra finzione e realtà, tra mondo digitale e analogico, tra individuo e collettività.

“Serial Experiments Lain” è un prodotto che non emoziona dal punto di vista empatico, perché vuole appositamente essere freddo, alienante, spesso crea un senso di disagio ed è come se volesse in contemporanea staccarci e immergerci nella storia, perché fa un uso quasi anarchico del narratore esterno e dei “dipinti psichedelici” del Wired, che rende la narrazione appositamente frammentata e dissociata, addirittura in diverse occasioni vediamo immagini di persone reali, quasi come se “invadessero” il medium dell’animazione, ma da questa deformati. Per questi motivi, abbiamo spesso la sensazione che più volte la narrazione rallenti e acceleri di colpo, resa irregolare dalla comparsa di immagini e informazioni che si intromettono come virus, e non sappiamo sempre se siano realmente percepite dai personaggi, per cui ci sentiamo da una parte “respinti” dalla storia, dall’altra questi schizzi onirici ci immergono nell’estetica del Wired, ci fanno entrare in un altro mondo che emoziona proprio per la sua irregolarità e caos, anche in paragone ad altri mondi fantastici che, a differenza sua, non sono fantasmagorici e surreali, ma più “vicini” al nostro, come la Terra di Mezzo o Hogwarts. L’introduzione di un narratore esterno riflette invece le voci all’interno della testa di Lain e serve soprattutto a noi ascoltatori per ottenere informazioni sulla storia e quindi trarne i maggiori spunti.

Questo dimostra anche come il tema dell’informatica sia stato reso in maniera visionaria, esteso a livello esistenziale. C’è una porzione di funzionalità e immagini riconducibili ai nostri computer, ma l’estetica e gli scopi ultimi diventano ben più di raccolta informazioni, numeri, poligoni e pixel, ma anche più dei videogiochi e della normale realtà avanzata, perché vengono create da zero nuove regole che però sentiamo radicali, fluide e immersive quasi come la nostra vita vera, per cui anticipa in un certo senso l’idea di “metaverso”: un’invenzione recentissima che naturalmente non ha mai raggiunto (e sicuramente non raggiungerà mai) i livelli del Wired, dove l’informatica è elevata a una sorta di surrogato della dimensione spirituale.

Tornando all’argomento iniziale, un anime del genere non è solo artisticamente rilevante e profondo quanto potrebbe esserlo una serie TV o un film, ma è anche praticamente impossibile da trasporre con persone e paesaggi reali per l’altissimo budget che richiederebbe, cosa che non sarebbe neanche così opportuna, perché “Serial Experiments Lain” vuole spingere ad oltranza le prerogative del cartone animato e quindi creare un discorso con il linguaggio stesso del medium, che viene fatto non solo introducendo sprazzi di immagini reali videomontate, ma anche facendo un uso oltranzista della bidimensionalità, come ad esempio con le sagome “cosmiche” delle case che compaiono in moltissime occasioni nell’anime. Tutto questo incarna in estetica l’idea esistenziale che ciò che vediamo sia un “cielo di carta”, per citare Pirandello, e serve dunque da ciliegina sulla torta per un capolavoro come ne ho visti pochi nel suo medium artistico.