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8.5/10
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Piccola perla dell’animazione giapponese del terzo millennio, “Metropolis” di Rintaro è un anime dalle ambizioni e dalle proporzioni gigantesche, di cui si sente parlare ingiustamente troppo poco. Come suggerisce il titolo stesso, il film si ispira a un grande classico della settima arte, “Metropolis” di Fritz Lang, caposaldo del cinema espressionista, divenuto famoso non solo per la capacità di rappresentare una metropoli futurista che avrebbe influenzato visivamente il cinema più recente, ma anche per le sue riflessioni sul superamento delle differenze di classe come elemento cruciale di emancipazione sociale. Altro elemento da cui il film di Rintaro trae ispirazione è l’omonimo manga di Osamu Tezuka, che, innamorato del film di Lang, decise di realizzare la sua versione della storia in un unico tankobon pubblicato nel 1949. I temi, tra cui la presa di coscienza robotica, l’elemento sociale, il rapporto padre-figlio, sono quelli che Tezuka avrebbe sviluppato, di lì a poco, in un altro manga ben più celebre: “Astroboy”. Dalla fusione di queste due opere e grazie al lavoro di un team di prim’ordine, che annovera al suo intero gente del calibro di Toshio Suzuki, uno dei tre fondatori dello Studio Ghibli, e Katsuhiro Otomo, l’autore di “Akira”, nacque “Metropolis”, film animato uscito nelle sale giapponesi nel 2001.

Il film segue le vicende di un giovane, Kenichi, e di suo zio Shunsaku Ban, un investigatore privato. Costui è partito dal Giappone con il nipote sulle tracce dello scienziato pazzo Laughton, sospettato di essere implicato in un traffico di organi umani. Le ricerche di Shunsaku Ban lo portano nella città-stato di Metropolis, governata dal Presidente Boone e dal potente Duca Red, proprio nei giorni di festeggiamenti che seguono all'inaugurazione di un immenso grattacielo nel centro della città, la Ziggurat, simbolo del potere di Red. Quest’ultimo, magnate assetato di potere, ha fatto costruire dal Dottor Laughton un androide con le fattezze della figlia morta, per far sì che possa dominare l’intero pianeta. A scoprire i suoi loschi piani saranno proprio il detective Shunsaku Ban e il giovane Kenichi, con cui l’androide inconsapevole, di nome Tima, legherà un rapporto di affetto che cambierà il corso della storia.

Lo si sarà compreso bene analizzando la genesi del film, ma l’elemento fondamentale di cui si serve Rintaro per filtrare il proprio messaggio è la città di Metropolis, in cui è radicata una profonda differenza sociale. L’immagine più chiara di questa discrepanza sono le varie zone in cui si divide la città. Di queste, ovviamente, una è aperta solamente ai ricchi e alle persone più in vista del Paese, e appare esternamente come una grande metropoli futurista sul cui orizzonte si stagliano enormi grattacieli, il più importante dei quali è certamente la Ziggurat; mentre le altre, dove convivono poveri e robot, sono completamente abbandonate al degrado, in un quasi certo riferimento ad “Akira”. Il popolo, abbandonato al proprio destino, brama il cambiamento, la rivoluzione, per dirla in termini marxisti, e si prepara a prendere le armi contro il Duca Red. I robot sono quelli che hanno meno diritti e, addirittura, i potenti vorrebbero creare un pianeta in cui la loro esistenza è abolita. A tal proposito, nella città di Metropolis, si tengono con una certa frequenza esperimenti top secret, e il più importante di essi, che vede coinvolti il solo Duca Red e il Dottor Laughton, è la creazione dell’essere supremo, in grado di poter governare sul mondo tutto, la piccola Tima, un robot dalle fattezze umane. La disparità sociale si accompagna, come da tradizione, al tema della tirannia, dei potenti disposti a utilizzare qualsiasi mezzo pur di raggiungere i propri scopi. Non stupisce, dunque, che al servizio del Duca Red ci sia un certo partito Marduk, i cui membri, parole di Shunsaku Ban, “sono vestiti come i fascisti”. I membri del partito, tra cui spicca il giovane Rock, figlio adottivo del Duca Red, si macchiano quotidianamente di prepotenze nei confronti dei più deboli, arrivando anche a giustiziare pubblicamente robot disertori, proprio come le camicie nere. Rintaro si serve del parallelo con gli anni più bui della storia recente per gettare un’ombra oscura sulla città di Metropolis e le condizioni in cui versa. Una città che vuole compensare le disparità sociali con la bellezza estetica, fallendo miseramente.

Da questa breve analisi, si evince, dunque, che il film tratta perlopiù temi già conosciuti, riproposti nei secoli nelle salse più disparate, ma lo fa in una maniera tutta sua, riprendendo, tra le altre cose, una delle leggende più affascinanti di sempre, il mito della Torre di Babele. La Ziggurat, fatta inaugurare dal Duca Red e dal Presidente Boone, rappresenta il tentativo dell’uomo di innalzarsi al di sopra di Dio, salvo poi venire punito dalla sua stessa collera. Se si conosce un minimo di storia, dunque, lo si intuisce bene già a inizio film che la Ziggurat è destinata a crollare per mano della scelleratezza dei propri fautori, e la scena che ce lo racconta è tra le più poetiche che abbia mai visto, merito anche dell’accompagnamento di “I Can’t Stop Loving You” di Ray Charles. Più della trama, infatti, il film rimane impresso per la sua bellezza visiva e musicale. Grande impegno è stato messo nelle animazioni, nei fondali e nei disegni, a tratti molto rievocativi del miglior Miyazaki. Eccellente il comparto musicale, che svaria tra blues, folk e jazz, regalandoci una colonna sonora da sentire e risentire.

Insomma, vedetevi “Metropolis” e non ve ne pentirete.